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martedì 2 marzo 2021

UN ALTRO GENERE DI CONI. Lo scandalo della rappresentanza sportiva.

 Un sistema di potere consolidato, egemonizzato, tutto teso a conservare lo status quo; legato a doppio filo con le stanze della politica e saldamente in mani maschili. Stiamo parlando del CONI, il vertice istituzionale dello sport del nostro Paese che si appresta ad affrontare, a Maggio, l’ennesima tornata elettorale




Il CONI, Comitato Olimpico Nazionale Italiano, comprende quarantaquattro federazioni, alcune largamente conosciute, come il calcio, il basket, la pallavolo, e altre un po' meno, come la federazione dei cronometristi, la motonautica, il tiro a volo. Molte di queste federazioni hanno storia centenaria, altre invece sono nate molto più recentemente. 

Quest'anno, come di consueto in tempo di Olimpiadi, sono previste le elezioni presidenziali. Il presidente uscente Malagò sfiderà l’ex pistard, ciclista e bobbista olimpionica Antonella Bellutti, la cui candidatura è stata accolta con stupore da dirigenti, giornalisti e appassionati. Ma veramente nel 2021 dobbiamo parlare con meraviglia di “storica candidatura” per il semplice fatto che si tratti di una donna? Nel caso del CONI decisamente sì.

Nella storia delle presidenze del CONI non ci sono mai state presidenti donna. Un dato di per sé sorprendente che è però solo la punta dell’iceberg di una situazione molto più scandalosa. Il totale di presidenti delle federazioni che rispondono al Coni, che si sono succeduti dalle loro fondazioni fino ai giorni nostri, supera abbondantemente i seicento nomi. Tra questi troviamo solo una donna, la signora Antonella Dallari, in carica per circa un anno nella FISE (Federazione Italiana Sport Equestri). 

Non stiamo parlando di una differenza di rappresentanza di genere del doppio, del triplo o del quadruplo, ma di una differenza di 600 a 1. Un confronto da capogiro. Numeri che ci costringono eticamente a prendere per le spalle il CONI e scrollarlo con forza fino a vedere cosa ne viene fuori. Numeri che possiamo ritenere rappresentativi della società italiana della prima metà del 1900 e che ci fanno intuire che di lì a oggi per lo meno sul tema della parità di diritti e rappresentanza di genere non si sia fatto mezzo passo avanti. 

Ancor di più se si considera che è consuetudine scegliere come presidenti federali, personaggi che nella propria disciplina si sono particolarmente distinti a livello nazionale o olimpico e che la nostra storia sportiva pullula di atlete vincenti e pluripremiate. Atlete applaudite al momento della vittoria e dimenticate un attimo dopo, quando le luci dei riflettori sfumano, le bandiere vengono ammainate e rimangono le difficoltà quotidiane: mancanza di contratti e tutele. Parcelle prestazionali diseguali rispetto ai colleghi uomini. Clausole anti-maternità nei contratti con le società. Copertura mediatica irrilevante e irriverente. La condanna a rimanere per legge nell’alveo del dilettantismo sportivo a prescindere dall’impegno e dai risultati ottenuti. Che tutto questo sia diretta conseguenza della mancanza di un’adeguata rappresentanza è fuori discussione.   

Da qui sorge la necessità di aprire un sentiero d’indagine che non vuole in alcun modo essere un capannello elettorale, ma un percorso di azione ed approfondimento, che miri a evidenziare le contraddizioni e a farle esplodere, nella convinzione che un cambiamento del sistema sportivo italiano e di chi lo rappresenta sia oggi più che mai necessario.

Un viaggio dentro il peggio della cultura del Belpaese. Una strada sospesa fra stanze che puzzano di sigaro e dopobarba, stereotipi di genere e vecchia politica. Dai prìncipi e conti presidenti federali degli inizi del '900, fino ai patriarchi delle cariche talvolta ventennali dei giorni nostri. Dalle bocce, alla ginnastica, dai cronometristi ai tennisti, in una moltitudine di dati non sempre facilmente reperibili e in molti casi poco aggiornati, muoveremo la nostra lente d’ingrandimento, indagando la natura dei meccanismi di conservazione del potere, le origini dell’arretratezza del sistema e le ragioni della sua palese lentezza evolutiva, con il sogno di proiettare lo sport del nostro paese, se non proprio nel futuro, per lo meno nel tempo presente.

                   UN ALTRO GENERE DI CONI è possibile e necessario!

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