Turchia, Grecia, Ungheria, Gran Bretagna. Ma anche India,
Corea e America del Nord. A oggi, in tutto il mondo, sono più di settanta i
muri eretti a confine nazionale. Muri che sono destinati ad aumentare. Muri che
dividono e discriminano. Muri che non sono solo quelli a migliaia di chilometri
da noi che impediscono alle persone di muoversi liberamente. I confini più
pericolosi, quelli che a lungo andare ci presenteranno il conto più salato, li
troviamo nelle nostre città. Li troviamo nei sindaci che rifiutano di
accogliere nel proprio comune, li troviamo nei comitati di quartiere
anti-immigrato, li troviamo nella distruzione degli appartamenti destinati ai
migranti. Troppo spesso ormai capita di leggere notizie del genere. Segnali di
razzismo dettati dalla paura e dall'ignoranza che non possiamo permetterci di
accettare come la normalità. Il razzismo non è accettabile in nessuna sua forma.
Non si può permettere che diverso diventi sinonimo di pericoloso.
Per questo e per molti altri motivi, e a seguito dell’appello della ong
greca City Plaza volta a una mobilitazione internazionale, domenica 19 Marzo
oltre cinquemila persone hanno partecipato al corteo Side by Side a Venezia.
Cinquemila persone che nel giorno della prima ricorrenza
dell'orrido accordo UE-Turchia, sono scese in piazza per dimostrare che
un'accoglienza degna e diffusa è tanto possibile quanto necessaria.
Per quello che è il nostro DNA e per l'impegno che ogni giorno portiamo
avanti in questa direzione dentro e fuori i campi di gioco, abbiamo deciso di
aderire all'appello e, in pieno stile precario, siamo scesi nelle calli
veneziane per manifestare e condividere le nostre esperienze e i nostri
progetti. E come noi
moltissime associazioni, collettivi e singoli cittadini che giornalmente si
impegnano a portare avanti pratiche di buona accoglienza, con la speranza di
riuscire a costruire, un po' alla volta, un futuro migliore sia per chi in
questa casa ci vive da sempre, sia per chi ci è capitato, costretto a scappare
dalla propria.
Perché è importante ribadire un concetto: nessuno vuole
parlare di carità. Queste persone non chiedono la nostra carità. Hanno bisogno
di noi tanto quanto noi abbiamo bisogno di loro. Accoglienza non è quella dei
grandi centri di detenzione come i CIE, non è quella degli hotspot e tanto meno
quella che il nuovo decreto Minniti vorrebbe imporre. Accogliere significa
creare progetti sostenibili, collaborare per ampliare le nostre prospettive,
produrre nuovi posti di lavoro, creare reddito. Accogliere significa permettere
che delle persone possano riconquistarsi la propria dignità. Persone che hanno
perso tutto, che sono state costrette a scappare dalla propria casa o che hanno
deciso di mettersi in viaggio per provare a costruirsi un futuro migliore.
Dignità che l'Europa con i suoi provvedimenti gli sta togliendo ogni giorno che
passa. Il migrante prima di tutto è un padre, una madre, un figlio o una
sorella, e non chiede niente se non la possibilità di riprovarci.
Tale processo di accoglienza diffusa deve andare a coprire ogni aspetto
della nostra vita e a questo proposito lo sport gioca un ruolo
fondamentale.
La stessa Unione Europea sancisce chiaramente che “Lo sport
è un'attività umana che si fonda su valori sociali, educativi e culturali
essenziali. È un fattore di inserimento, di partecipazione alla vita sociale,
di tolleranza, di accettazione delle differenze e di rispetto delle regole.” E
proprio su queste basi la nostra polisportiva negli anni si è impegnata a
combattere numerose battaglie nel campo dell'accoglienza. Ultima delle quali la
campagna We Want To Play che mira proprio ad abolire quegli articoli
discriminatori presenti nel Norme Organizzative interne della FIGC nazionale.
Per questo siamo scesi in piazza Domenica, per questo continueremo a
rimboccarci le maniche insieme a tutti quelli che in quella piazza hanno
camminato al nostro fianco.
Polisportiva San Precario - Ama lo sport - Odia il razzismo!
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