Ci sembra doveroso accompagnare la nostra recente
esperienza al No border camp di Salonicco con una riflessione finale che
cerchi di andare al di là delle belle foto e delle belle parole. Questo
perché esperienze del genere ti segnano. Magari non te ne accorgi subito ma è
inevitabile che dal momento in cui entri a contatto con una realtà così assurda
nella sua brutalità, qualcosa dentro di te scatta. E allora inizi a porti delle
domande su quello che stai facendo.
Come Polisportiva Sanprecario, nel nostro
piccolo e nei limiti dello spazio che ci è stato concesso all'interno di un
panorama molto più grande di noi, abbiamo sicuramente fatto il possibile e
possiamo garantire di averlo fatto bene. Siamo arrivati con i nostri palloni,
le nostre maglie, qualche attrezzatura sportiva e abbiamo cercato di regalare a
giovani e giovanissimi un momento di gioia e serenità. C'è però un punto sul
quale è molto importante riuscire a fare una riflessione un minimo più
coscienziosa. Quello che l'Europa con i suoi provvedimenti indegni sta
sottraendo a queste persone non è solo un letto comodo, quattro mura o un campo
per giocare, bensì una condizione che dovrebbe essere alla base dell'esistenza
di ogni essere umano: la dignità.
Parliamo di uomini e donne che prima di
lasciare le loro case erano ingegneri, infermieri, operai e maestri. Persone
che da un giorno all'altro si sono viste togliere tutto e che ora sono
costrette semplicemente a sopravvivere, giorno dopo giorno, umiliazione dopo
umiliazione. Perché di questo si tratta: ritrovarsi completamente impotenti,
rinchiusi in un recinto, ad aspettare che qualcuno decida qual è il prezzo del
tuo futuro. E' fondamentale capire che nessuno di loro vuole la nostra carità.
Ciò che chiedono è semplicemente che non gli sia tolta la possibilità di
condurre una vita indipendente e dignitosa. Una possibilità questa che va al di
là della ricchezza o della povertà, delle gioie o dei dolori e, cosa più
importante, una possibilità che mai dovrebbe essere soggetta alla scelta arbitraria di qualcun altro, perché è in questo modo che la dignità ti viene sottratta. Allora tu, ragazzo italiano che per due ore una mattina di Luglio incroci le
loro vite, giochi con i loro figli e le loro figlie, ti chiedi se veramente
stai facendo qualcosa di utile perché tutto questo rischia di trasformarsi
inevitabilmente in un'arma a doppio taglio.
Certo, ora i bambini e le bambine
del campo di Vasilikia nella periferia di Salonicco, hanno dei nuovi palloni
con cui giocare e per una mattina la monotonia forzata delle loro esistenze è
stata spezzata da qualcosa di nuovo e quantomeno buffo. Ma uscendo dal campo,
al piccolo Omàr che ti tira per la maglietta e ti chiede se vi vedrete domani,
ti trovi a rispondere che domani no, domani noi torniamo a casa a rifugiarci
nella nostra routine, mentre lui resta lì, con un pallone in più ma con un
pezzo del suo futuro che giorno dopo giorno si sgretola tra quelle mani troppo
giovani, rese impotenti dal nostro egoismo. Sicuramente il semplice aiuto che
nel nostro caso si è tradotto come condivisione di materiale sportivo e umano è
un passo fondamentale che tutti noi dovremmo compiere per provare ad aiutare
pragmaticamente queste persone a sopravvivere a un quotidiano frustante oltre
il limite della sopportazione ma è oltremodo importante capire che il nostro
percorso non può e non deve fermarsi qui.
Questi quattro giorni a Salonicco
sono stati un inizio e ora, insieme a realtà amiche come Over The Fortress,
Global Project, Melting Pot e Agire Nella Crisi, le quali come e più di noi
stanno cercando di combattere questa miopia che dentro e fuori dall'Europa sta
letteralmente uccidendo migliaia di persone, andremo avanti creando nuovi
progetti, nuove carovane e nuove proposte per cercare un alternativa umana a
queste tremende cicatrici chiamate confini.
No one is illegal for playing!
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